Myles Kennedy: il ruggito della tigre fra le rovine di Ostia Antica
Il servizio fotografico della serata è stato realizzato da Marco Pintus.
Una location insolita per assistere ad un concerto rock, eppure la scenografia delle rovine di Ostia Antica ha regalato uno spettacolo intimo ed emozionante per tutti gli amanti del cantante degli Alter Bridge. Dopo il concerto della band durante la precedente edizione di Rock in Roma, Myles Kennedy è tornato in veste solista per presentare il suo primo album Year of the Tiger.
C’è voluto molto tempo prima di presentare, finalmente, questa fatica. Kennedy era già al lavoro dal 2009 ad un progetto in solitaria, con l’idea di staccarsi dal sound più forte della band fondata da Mark Tremonti, conferendo alla sua musica un’atmosfera più estatica. Anche il titolo, riflette soprattutto la vita privata del cantautore a seguito della morte del padre nel 1974, anno della tigre nel calendario cinese. Pubblicato lo scorso marzo, Year of the Tiger è un concentrato di ritmi blues e country con ampie sferzate di southern rock che nel live trovano più ampio spazio di espressione.
Ad aprire la data nella Capitale è Dorian Sorriaux, chitarrista del gruppo svedese dei Blues Pills e fresco di stampa del primo EP solista dal titolo Hungry Ghost. Dorian inizia la sua esibizione davanti ad un pubblico ancora “in arrivo”, sono già in molti ad aver preso posto sulle gradinate del teatro romano e altri ancora non hanno esitato a sistemarsi da subito sotto al palco, trasmettendo un genuino sostegno all’artista.
La performance di Sorriaux è breve, composta dai quattro brani che formano l’album, permeato di sonorità rock folk in chiave acustica. Dorian appare a tratti timido, ma è spontaneo e cerca di instaurare con gli spettatori un legame che si andrà poi a consolidare con la richiesta di un’ulteriore canzone e le foto di rito, dopo l’esibizione, con il pubblico, conquistato dalla semplicità del cantante.
Un rapido cambio palco e alle 21 fa il suo ingresso Myles Kennedy. Il teatro non è del tutto pieno, ma non può nemmeno dirsi vuoto, la particolarità della location aiuta a conferire allo spettacolo un’intimità tangibile, cui non sempre si è abituati. Eppure, con alle spalle il tramonto che pian piano si trasforma in notte, e colonne e capitelli, l’atmosfera inizia a farsi sognante.
Il panorama musicale mondiale è pieno di artisti che si fregiano, anche immeritatamente il più delle volte, di cotanto titolo, ma pochi sono gli Artisti con la A maiuscola, e Kennedy è uno di quelli. Una voce potente, calda, inebriante. Energica in quei brani più decisi come Devil On The Wall che apre la scaletta, delicata in quelli più morbidi come Haunted By Design dalle forti tinte blues, fino a raggiungere l’estensione vocale tanto amata dai fan in canzoni quali Songbird.
Uno spettacolo fatto di brani acustici ma altrettanti in elettrico, Myles cambia chitarra ad ogni canzone senza tralasciare brani di Slash o degli Alter Bridge. Un momento ampiamente apprezzato è infatti quello di Addicted to Pain arrangiata in un’inedita chiave acustica che, seppur differisca dall’originale della band, ha saputo coinvolgere in un grande coro i presenti. Immancabile la cover di The Trooper degli Iron Maiden, ispirata niente di meno da Johnny Cash. Year of the Tiger si conferma invece un singolo accattivante, ritmato e in grado di sfoderare tutte le peculiarità canore dell’artista.
Ma è alla fine di un’ora e mezza ricca di virtuosismi armoniosi e strumentali che avviene la magia. L’assoluto silenzio, i ruderi a fare da scenografia, luci soffuse e la voce magnetica di Myles e la sola chitarra per il brano finale, Love Can Only Heal. Un religioso silenzio che consente di far apprezzare maggiormente le doti del cantante e la bellezza del motivo.
Ascoltare Myles Kennedy live è un’esperienza che almeno una volta nella vita è doveroso fare. Seppur non si conoscano le canzoni, il cantante è in grado di trascinare il pubblico con la sua simpatia, il porsi costantemente in un mood amichevole creando un vivo coinvolgimento degli spettatori. La chitarra, o meglio le tante, risulta immancabilmente un prolungamento non solo delle sue braccia ma di tutta la sua essenza. Ma la voce è l’elemento che maggiormente lo contraddistingue. Non c’è artificio nella sua voce, nessun trucco o inganno alcuno, semplicemente un talento non alla portata di tutti, e che lo consacra, nuovamente, come uno dei migliori cantanti rock in circolazione.
Sabrina Spagnoli