Intervista a Matteo Gabbianelli, fondatore e anima dei kuTso

Ci troviamo alla libreria La Feltrinelli di Roma in occasione dell’Instore dei kuTso per la presentazione del loro nuovo album Che Effetto Fa, questo durante una delle giornate romane più piovose di ottobre. Abbiamo fatto due chiacchiere con Matteo Gabbianelli, il fondatore ed unico elemento della formazione originale della band, il tutto accompagnati dal sottofondo delle canzoni dell’ultimo album in versione strumentale (intanto Brian, Luca e Bernardino stanno provando) e inframezzato dal rumore dei tuoni.

Andrea Cavallini: Ciao Matteo, iniziamo subito parlando dell’ultimo album, Che Effetto Fa, uscito lo scorso 28 settembre: quali sono i temi che affrontate?
Matteo Gabbianelli:
 Sono fotografie di momenti, racconti di situazioni, insomma, sensazioni, sentimenti, ragionamenti. Sono dieci sfere chiuse in sé diciamo che, come ho detto prima, fotografano delle situazioni e delle sensazioni che scaturiscono dentro di me grazie a quello che vivo e vedo, come tutti, dal punto di vista testuale.

Il disco è stato anticipato dall’omonimo video, un video molto divertente dove ti vediamo prima nei panni di un uomo affermato e poi, in qualche modo, nella sua nemesi che accusa il primo di essere diventato esattamente quello che aveva sempre criticato. Dei due personaggi, in quale ti rispecchi?
Io sono tutti e due, nel senso che arriva sempre un certo momento, e non è detto che sia la vecchiaia, ma durante la vita più volte si fa il punto della situazione. Spesso magari ci si accorge di essere e fare l’opposto di quello che pensavamo inizialmente. Nel caso specifico della canzone, quando l’ho scritta, mi ricordavo di quando sono stato rappresentate di istituto al liceo. Intorno a me c’erano gli altri rappresentati di istituto, super comunisti, portavano la kefiah, erano assolutamente contro il sistema…poi li ho rivisiti dieci, quindici anni dopo ed erano esattamente quello che loro combattevano, non un’altra cosa, ma proprio la cosa che loro rifiutavano. Quindi ho immaginato appunto il momento in cui ci si guarda allo specchio e si vede chi si è diventati. Quindi mi sono chiesto “che effetto fa”. Non è detto che sia per forza negativo, ma si tratta di essere sinceri con sé stessi e rendersi conto di quello che si è diventati, e non andare sempre in maniera incosciente avanti senza mai valutare quello che si è fatto nel percorso.

Un’occasione di autoanalisi alla fine?
Sì sì, alla fine sì.

E tu in questo momento come ti vedi davanti a questo specchio?
Mah, io ancora sto capendo, però sicuramente per alcuni aspetti ci sono delle cose su cui mi sono totalmente ricreduto, e altre che invece continuo a confermare. Ogni giorno mi chiedo che effetto fa, certe volte mi rispondo, certe altre ancora sto capendo che effetto fa (ride).

Con che frequenza ti fai questa domanda?
Purtroppo, ogni giorno più volte al giorno. Su ogni cosa che faccio, dico o vedo, ho proprio una tendenza spontanea, che odio, a fare e poi a guardare quello che ho fatto e vederlo con gli occhi dei miei nemici, cioè vederlo con gli occhi di qualcuno chi mi disprezza.

Paura di fare un passo falso?
Paura no, perché poi io sono una persona che fa tutto, non è che fa inconsciamente, mi butto anche istintivamente, irrazionalmente, però poi dopo mi fermo a guardare.

Per vedere i risultati quindi?
Anche, oppure sai, io magari mi esalto per una cosa ma subito dopo mi viene di guardala con gli occhi di chi invece la disprezza. Ho ragione io, ha ragione anche un altro che la guarda in quel modo. Non si sa se è una cosa bella o brutta. Una cosa è. Poi per me è bella o per qualcun altro brutta ma non è detto che l’altro abbia più ragione o torto rispetto a me.

Una questione di punti di vista e di gusti alla fine?
Sì di punti di vista, di sensibilità. Poi, voglio dire, quello che noi chiamiamo bello o brutto, lo chiamiamo bello brutto in base a quale sensibilità ha deciso che quella cosa è bella. Ma non perché ci sia un bello o brutto assoluto. Se siamo tanti a dire che è bello in un determinato momento e spazio allora quella cosa diventa bella ma in realtà ci sono tante persone che in un certo momento e spazio hanno deciso che gli piaceva. Magari 5 minuti dopo in Alaska fa schifo a tutti quanti per esempio.

Qual è il punto di vista dell’album?
Nei miei dischi, insomma dei kuTso, io ci sono sempre. Non mi tiro mai fuori anche quando giudico, o racconto, descrivo sempre attraverso il filtro delle mie sensazioni e de miei sentimenti, della mia emotività condizionata da quello che vedo esternamente, quindi ci sono dentro. Non è ironia la mia, forse qualche volta è sarcasmo, non mi tiro fuori dai problemi, ma ci entro dentro a piedi uniti vivendoli fino in fondo. L’album è quasi totalmente autobiografico perché la mia vita è il mio gruppo, la mia biografia coincide con la biografia della band.

Tu sei leader storico, voce e l’unico membro della formazione originale
Dai sono il capo (ride), sono l’ammiraglio (continua a ridere).

Come è stato lavorare alla scrittura del nuovo album con nuovi musicisti?
Le canzoni le scrivo io in solitaria, nel senso faccio la struttura del brano io le con chitarra e voce. Poi con gli altri le arrangiamo, ma io ho già molte idee precise in testa. Non ho visto un cambiamento nella composizione.

Quindi anche prima era così?
Sì sì, è sempre stato così. Però devo dire che forse con i nuovi componenti ho avuto invece un maggiore apporto, ho avuto gente che mi ha dato idee fiche. In realtà nei rapporti siamo rimasti un po’ come prima, perché anche prima mi rapportavo di più musicalmente con il bassista ed effettivamente adesso ancora è il bassista, ma sono due persone diverse. Infatti è strana questa cosa.

Questo approccio è stato recepito bene dai tuoi compagni di viaggio?
Sono sempre stati professionisti quelli che si sono agganciati a questa band. Guarda, quando metti in chiaro questa cosa, si va avanti tranquillamente, tutti sanno tutto, quali sono i ruoli e si va avanti, anzi, ci si diverte perché ognuno è sereno, non gli viene chiesta una cosa in più o una cosa in meno, se fai un errore è gestibile. Perché invece se tu, altra parte del gruppo, diventi indispensabile e fai un errore determinate va a puttane tutto, cioè si ferma proprio la macchina.

In questo album tu però non hai scritto solo i testi, ma sei stato anche co-produttore e fonico. Con il cambio totale di formazione ti sei sentito ancora più responsabile del progetto?
Questo è un gruppo alla Foo Fighters. Io nasco come batterista quindi negli anni sono stato tante volte dentro progetti dove non ero io il leader. Però le cose a volte muoiono. Se chi porta il timone a un certo punto cambia idea, si sposa, smette di appassionarsi alla cosa, tutto va a puttane, e quindi ecco perché ho fatto il mio gruppo perché non volevo più questa cosa. Per me la musica è stata sempre una cosa seria. Non c’è niente da fare, se le cose non le controlli tu, prima o poi gli altri te le sfasciano. Io mi fido di me, perché io di mio sono così, io sono serio, io sono una persona seria. Non è che non faccio una cosa perché quel giorno non mi va, io lo so che mi porto dietro altre tre persone e tutto lo staff. La mia vita è totalmente devoluta ai kuTso.

Serviva una figura di leader?
Io voglio suonare, la musica è la mia vita quindi non voglio più che nessuno mi ostacoli. Adesso sono in un gruppo dove io sono l’unico indispensabile ma il fine è creare un progetto che, infatti, sono 12 anni che esiste.

Un timoniere a tutti gli effetti quindi?
Esatto.

Da quando hai iniziato come rappresentante d’istituto ad oggi, se e quanto sei cambiato e come ha questo contribuito alle tue canzoni?
Sono maturato sicuramente musicalmente e penso che questo sia il disco migliore che abbiamo fatto, non perché l’ultimo disco sia sempre il migliore, ma proprio per come è nato, è nato diversamente. Le canzoni sono tutte appartenenti ad un periodo storico attuale, prima erano compilation di canzoni fatte anche 12 anni prima. Quindi questa è già una grande differenza. In più, è la prima volta che non faccio il disco da solo come produzione, ma mi affianco con Marco Fabi, una persona con una sua sensibilità che mi ha aiutato. Questo è un disco frutto di grande concertazione. Io ho ascoltato molto le cose che c’erano intorno. Ogni cosa che faccio nella vita la faccio per non avere rimpianti, non tanto per ottenere un risultato, che certo voglio ma non si sa mai, ma non mi devo dire “ah cavolo questo avresti potuto farlo”. Non voglio avere rimpiatti quindi se capisco che era meglio sperimentare il fatto di lavorare con qualcun altro, o trovare un nuovo suono, Lo devo fare per poter dire io almeno l’ho fatto, l’ho fatto e se non succede quello che deve succedere allora non doveva succedere.

Un aneddoto legato a questo ultimo disco?
La cosa bella di questo disco sono stati i due giorni in cui abbiamo fatto tutti i synth perché il disco è molto caratterizzato dai synth, che dal vivo invece facciamo con la chitarra midi. Quindi non abbiamo tastiere dal vivo, ma il chitarrista si fa un culo così, fa sia chitarra elettrica che synth. Invece sul disco i synth li hanno fatto Daniela Mornati e Raffaele Scogna che sono una coppia di fidanzati e due grandi tastieristi e nostri fan. Sono tastieristi di Bugo, Max Gazzè, Nic Cester, Ghemon. Però sono venuti e in due giorni hanno fatto tutte le tastiere dei brani e insomma è stata molto bella questa sinergia.

Tutto improvvisato e arrangiato sul momento?
Certo! Tiravamo fuori insieme le idee. In due giorni di corsa sono scesi da Milano, li ho ospitati. Questa magia che si è creata lì per lì, era chiaro da subito che era una grande idea. Quella è stata una bella cosa.

Una bella apertura, soprattutto una prova di fiducia.
Io so cosa voglio che si apra e cosa voglio che si chiuda dentro una canzone, però proprio perché ero su lidi che non conoscevo, appunto l’elettronica, io chiedevo a loro di aiutarmi a capire come fare. Ho ascoltato molto i loro consigli e le loro idee proprio perché mi sono allontanato dalla situazione comoda in cui sono sempre stato, le chitarre e il rock le conosco non c’è problema, qui invece non sapevo come muovervi e mi serviva proprio il loro aiuto.

Quali sono i programmi per il futuro?
Adesso stiamo facendo gli Instore a La Feltrinelli e poi dal 19 ottobre parte il tour fino a dicembre. Il programma è di promuovere il disco all’infinito e suonare in tutti i posti cercando di fare numeri. Il 20 siamo a Roma, e saremo per 12 / 13 date in tutta Italia.

Andrea Cavallini